Tranquilli, non sono impazzita. Non voglio fare la cantante ed imitare Gabbani, ma mi sono svegliata con questo motivetto nella mente ed alcune riflessioni sono affiorate e queste si, desidero condividerle con voi.
Il ritornello della famosissima canzone Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani ripete:
Comunque vada panta rei And singing in the rain… Beh, io la trovo una frase “follemente” geniale.
“Panta rei” è una locuzione greca letteralmente traducibile con “tutto scorre”. Tale aforisma viene attribuito ad Eraclito ed, in particolare, al seguente passaggio dal trattato Sulla Natura: “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”.
In questo passaggio Eraclito sottolinea come nella vita l’uomo non può fare per due volte la stessa esperienza, giacché tutto muta continuamente così come l’acqua di un fiume che scorre incessante.
L’acqua di un fiume, infatti, pur restando apparentemente uguale, si rinnova e si trasforma, cosicché è impossibile tuffarsi in esso più di una volta, perché la seconda volta, il fiume, avendo rinnovato completamente le sue acque, non sarà lo stesso della prima.
Spesso si tende ad attribuire all’espressione “Panta Rei” il significato di tutto passa, intendendo che nella vita tutti gli ostacoli e le difficoltà si superano con il semplice passare del tempo. In realtà, il senso dell’aforisma è più profondo, ed incentrato sul concetto di divenire.
Secondo tale aforisma, dunque, il mutamento è la base stessa dell’esistenza. L’esistenza è cambiamento.
Se l’esistenza è un continuo cambiamento, i dolori si alternano a gioie, e la tanta agognata stabilità è solo una “chimera” destinata a sfuggirci sempre, cosa possiamo fare per affrontare lo scorrere del fiume della nostra esistenza con serenità?
Semplice, accettare il cambiamento come “essenza” della vita. Se la vita può essere rappresentata dalle acque di un fiume che scorre, l’immobilità derivante dalla non accettazione del cambiamento può richiamare alla nostra mente l’immagine di una palude. La palude ci ricorda quando siamo bloccati nella rassegnazione, nel dolore, quando crediamo che il mondo ce l’abbia con noi e tutti e tutto ci impediscano di essere felici. E quando è così la mente si blocca sugli stessi pensieri: “va tutto storto, le cose non cambieranno mai, non posso farcela, ormai è tardi per me…”
Ora, proviamo a pensare a cosa possiamo fare quando siamo bloccati nelle stagnanti acque della palude…
Beh, solo una cosa specchiarci nelle sue acque.
Dobbiamo affrontare il nostro mondo interiore. Quando pensiamo che tutto vada storto e ci troviamo bloccati il problema non va cercato all’esterno. Il mondo esterno riflette e rifletterà sempre il nostro mondo interiore, il nostro atteggiamento. Le parole che ci diciamo, come ad esempio: “tanto andrà sempre tutto storto”, non fanno altro che bloccarci nella palude, mettendo un freno a ciò che fluirebbe da solo.
Solo la scoperta e la costruzione della consapevolezza che siamo solo noi stessi la causa della nostra immobilità può essere la spinta per tornare a fluire.
Bene, il coaching è proprio costruzione della nostra consapevolezza!
Un’altra riflessione: non sempre da soli si può riportare la fluidità nella nostra esistenza. A volte, abbiamo bisogno di aiuto. Rivolgersi ad un Coach professionista è esattamente questo: cercare aiuto perché si vuole tornare alla serenità.
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