In un’indagine sui “Valori della Nazione”, condotta da VocAzione nel 2013, in Italia la responsabilità personale appariva nella classifica al 48simo posto (in Svizzera era al primo posto, in Svezia al quarto e negli Stati Uniti al sesto) e credo che, se il sondaggio fosse riproposto ora, la troveremmo scivolata ancora più in basso.
Viviamo in balìa di una forte deresponsabilizzazione sempre più fonte di pessimismo ed immobilismo.
Un numero sempre maggiore di Italiani, infatti, sente di avere poco controllo sulla vita ne diventa spettatore inerme, con tutte le nefaste conseguenze cui questo porta.
Questa tendenza si può osservare a partire dalla famiglia: dove sempre di più c’è la tendenza a disinteressarsi o delegare l’educazione dei figli, ma al tempo stesso a sopperire tale “lacuna” proteggendo i ragazzi dagli insegnanti “troppo” rigorosi viziandoli e favorendone l’esodo verso scuole “facili” preludio della “raccomandazione”, che mamma e papà si affanneranno a cercare come unica soluzione per i loro perenni bambini. Da lì via agli esempi di continua fuga dalla realtà, dalla responsabilità personale, dall’impegno ecc. Abbiamo adulti che si lamentano del mancato lavoro dei sogni, della frustrazione in casa, di non aver peso sulla politica del paese, e che passano però le loro giornate alla ricerca di case per le vacanze, di viaggi esotici, feste, ristoranti, l’ultimo iphone ecc. tutto magari pagato rigorosamente a rate. Perché se non sono responsabile della mia “deludente vita” gli altri devono vederla / percepirla “dorata” trionfa, allora, sempre più la voglia di mostrare al vicino di essere più furbi di lui, più forti e benestanti. Importante è non assumersi la responsabilità di quello che ci accade, lamentarsi e aspettare che gli altri mi risolvano i problemi, che, nel frattempo, in maniera assolutamente inconsapevole con i miei comportamenti contribuisco a far aumentare.
Fatemi confessare subito una cosa: anch’io ero abituata a pensare di non avere impatto sulla mia vita o di averne solo in piccolissima parte, proiettando all’esterno tutte le responsabilità e chiaramente qualsiasi possibilità di azione. Con il coaching ho scoperto questo mio atteggiamento, l’ho analizzato, capito e voitlà: adesso sono io a guidare la mia vita, almeno fino a dove le circostanze esterne lo permettono. Fatemi dire un’altra cosa: pensare di non poter cambiare la situazione in cui siamo è indubbiamente più facile e comodo. Se, infatti, penso di non poter cambiare il mio carattere, il mio modo di rapportarmi agli altri e alla vita e cerco all’esterno i “responsabili” del mio disagio e della mia infelicità non devo fare niente al massimo mi lamento.
Uno dei tantissimi motivi che mi hanno spinta a diventare Coach Professionista è far uscire le persone da questo “tunnel”. Il Coaching, infatti, sostiene le persone nel riflettere e prendere consapevolezza della loro realtà e di quanta parte di essa sia sotto la loro esclusiva responsabilità. Il Coach facilita il Coachee nel focalizzare cosa può fare in prima persona per cambiare le cose nella direzione che desidera. In parole semplici, ci sposta facendoci divenire protagonisti della nostra vita e non più solo spettatori.
Un aforisma di George Bernard Shaw recita: “Tutti danno sempre la colpa alle circostanze per ciò che sono. Io non credo nelle circostanze. Le persone che hanno successo nella vita sono quelle che cercano attivamente le circostanze di cui hanno bisogno, e se non le trovano le creano.” Bene, un buon percorso di Coaching è un potentissimo strumento che aiuta il Coachee a creare le circostanze di cui sente di avere bisogno per raggiungere i suoi obiettivi.
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